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Newsletter 4 – 2018

 

Il peso delle rinnovabili nella bolletta elettrica

Spunti dalla relazione dell’Autorità sulle fonti rinnovabili

 

Con la Relazione 02 agosto 2018 n.428/2018/I/efr, ARERA – Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente – descrive l’attuale stato di utilizzo e di integrazione nel sistema elettrico degli impianti di produzione alimentati dalle fonti rinnovabili e degli impianti di generazione distribuita. Sono inoltre riportati i dati aggiornati relativi all’impatto degli strumenti di sostegno alle fonti rinnovabili, in termini di quantità di energia elettrica incentivata e di oneri coperti tramite le bollette elettriche.

Con questo articolo riportiamo una sintesi con un focus sul peso degli incentivi alle rinnovabili nella bolletta elettrica.

Nel 2017 i consumi dell’Italia si sono attestati a 302 TWh (miliardi di kWh); dei 296 TWh di produzione lorda di energia elettrica, ben 104 TWh (35,1%) sono costituiti dalle fonti rinnovabili.

Si ricorda che le fonti energetiche rinnovabili sono definite nel decreto legislativo 28/11, di attuazione della direttiva 2009/28/CE. In particolare, le fonti rinnovabili sono l’energia eolica, solare, aerotermica, geotermica, idrotermica e oceanica, idraulica, biomassa, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas. Più in dettaglio, l’energia aerotermica è l’energia accumulata nell’aria ambiente sotto forma di calore, l’energia geotermica è l’energia immagazzinata sotto forma di calore nella crosta terrestre, l’energia idrotermica è l’energia immagazzinata nelle acque superficiali sotto forma di calore e la biomassa è la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l’acquacoltura, gli sfalci e le potature provenienti dal verde pubblico e privato, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani.

Complessivamente i costi derivanti dagli incentivi delle fonti rinnovabili (dati di preconsuntivo) sono stati pari a circa 12,1 miliardi di euro, per una quantità incentivata pari a circa 65 TWh (il 62,5% dell’energia prodotta da fonte rinnovabile gode di incentivi). Con questi dati, eseguendo dei calcoli semplici ma indicativi, si ottengono i seguenti risultati:

 

1. l’incentivo sull’energia prodotta è pari a circa 186 €/MWh (12,1 miliardi di euro: 65 TWh);

2. il “peso spalmato” uniformemente su tutti gli utenti è pari a 40 €/MWh (12,1 miliardi di euro: 302 TWh).

 

Si riportano i grafici più interessanti tratti dalla relazione (è riportata anche una stima per l’anno 2018).

 

FIGURA N.1 – evidenzia il costo degli strumenti di incentivazione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili; si può notare che il peso maggiore è dato dagli incentivi al fotovoltaico, seguiti dai certificati verdi (e dai suoi sostituti).

 

FIGURA N.2 – evidenzia la quantità di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili e incentivata distinta per tipologia di strumento incentivante; si può notare che il peso maggiore è dato dall’energia derivante dagli impianti incentivati con i certificati verdi (e dai suoi sostituti) e dall’energia prodotta con il fotovoltaico.

 

FIGURA N.3 – evidenzia la quantità di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili e incentivata, distinta per fonte; si può notare che la fonte più “incentivata” risulta quella fotovoltaica, seguita da quelle eoliche e da biomassa.

 

I costi derivanti dall’incentivazione delle fonti rinnovabili e assimilate sono posti, in generale, sul Conto per nuovi impianti da fonti rinnovabili e assimilate. Tale Conto fino al 2017 era alimentato dalla componente tariffaria A3, mentre dal 2018 è alimentato dalla componente tariffaria ASOS in relazione alle fonti rinnovabili e alla cogenerazione e dalla componente tariffaria ARIM in relazione alla frazione non biodegradabile dei rifiuti.

Complessivamente, per l’anno 2017, i costi derivanti dall’incentivazione delle fonti rinnovabili si stima che, a consuntivo, siano pari a circa 12,1 miliardi di euro (come emerge dalla FIGURA N.1), interamente coperti tramite la componente A3. Si stima che per l’anno 2018, i costi derivanti dall’incentivazione delle fonti rinnovabili siano pari a circa 11,6 miliardi di euro, quasi interamente coperti tramite la componente ASOS (solo 46 milioni di euro si stima siano coperti tramite la componente ARIM).

Va poi precisato come la componente tariffaria A3 (sostanzialmente ASOS dal 2018) consenta anche l’erogazione dei servizi di ritiro dedicato e scambio sul posto, nonché l’erogazione degli strumenti incentivanti previsti per le fonti assimilate (ai sensi del provvedimento Cip 6/92) e per gli impianti di cogenerazione abbinati al teleriscaldamento alimentati da fonti non rinnovabili (in relazione agli incentivi sostitutivi dei CV).

Per il futuro ci si aspetta una graduale diminuzione dei costi dovuti al termine delle convenzioni Cip6 nel gennaio 2021, al termine dei periodi incentivanti (incentivi in sostituzione dei CV sono in diminuzione già dal 2016 e per il fotovoltaico ma solo dal 2025). Per contro si prevede un aumento degli oneri associati al meccanismo delle nuove tariffe incentivanti ma, il calcolo complessivo, va nella direzione di una diminuzione.

 

Energivori: apertura portale per dichiarazioni anni 2017 e 2019

Entro il 12 novembre 2018 le imprese energivore devono eseguire la dichiarazione

 

Con la Circolare n. 34/2018/ELT, la CSEA (Cassa per i Servizi Energetici e Ambientali) ha pubblicato le disposizioni per le imprese a forte consumo di energia elettrica di cui al D.M. del 5 aprile 2013 per l’anno 2017 e al D.M. del 21 dicembre 2017 per l’anno 2019. La CSEA ha inoltre aperto il portale per raccogliere le dichiarazioni per gli anni 2017 e 2019.

DICHIARAZIONE PER L’ANNUALITA’ 2017 (ANTE RIFORMA)

Riguarda le imprese con requisiti ante-riforma1. La dichiarazione utilizza la metodologia usata per l’anno 2016. Entro il 12 novembre 2018 vanno eseguite le dichiarazioni tramite il portale della CSEA, all’indirizzo http://energivori.ccse.cc/.

L’agevolazione consiste in un bonus legato ai consumi dell’anno 2017 che sarà accreditato (non si sa ancora quando) sul conto corrente comunicato dall’impresa.

DICHIARAZIONE PER L’ANNUALITA’ 2019 (POST RIFORMA)

Riguarda le imprese con requisiti post-riforma2. La dichiarazione utilizza la metodologia usata per l’anno 2018. Entro il 12 novembre 2018 vanno eseguite le dichiarazioni tramite il portale della CSEA, all’indirizzo http://energivori.ccse.cc/.

Per le imprese neo costituite l’accesso al portale sarà invece consentito fino al 31 dicembre 2018.

L’agevolazione consiste in uno sconto sul pagamento della componente ASOS nelle fatture dell’energia elettrica dell’anno 2019.

 

Si ricorda infine quanto segue:

• inserire il codice Ateco;

• confermare se si è una piccola, media o grande impresa;

• indicare se i dati di bilancio sono stati verificati da un revisore iscritto al registro dei revisori legali (D.L. 39/2010) o se tali dati sono già soggetti a revisione legale;

• nel caso il bilancio non sia redatto su anno solare, i dati devono essere riclassificati secondo il periodo 1° gennaio – 31 dicembre con procedura certificata da un revisore come da D.L. 39/2010.

 

Si riporta una tabella con indicate le scadenze più importanti.

 

 

1 Si riportano i parametri ante-riforma per godere dello status di impresa energivora per l’anno 2017:

1. attività manifatturiere con codice ATECO 2007 da 10.xx.xx a 33.xx.xx più altri individuati in seguito riconducibili ad attività estrattive;

2. utilizzo per lo svolgimento della propria attività di almeno 2.400.000 kWh annui;

3. rapporto tra il costo del quantitativo di energia elettrica utilizzata rispetto al fatturato dell’anno uguale o superiore al 2%.

 

2 Si riportano i parametri post-riforma per godere dello status di impresa energivora per l’anno 2019:

• utilizzo per lo svolgimento della propria attività di almeno 1.000.000 kWh annui (il limite si abbassa e, in base al D.lgs. 102/2014, anche queste imprese, se energivore, saranno tenute alla redazione della diagnosi energetica e al successivo monitoraggio)

• non avere lo status di “impresa in difficoltà” ai sensi della Comunicazione della Commissione (2014/C 249/01) concernente “Orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese non finanziarie in difficoltà”.

• possedere uno dei seguenti requisiti:

a) operare nei settori dell’Allegato 3 alle Linee guida CE 2014/C 200/01 (v. link approfondimento);

b) operare nei settori dell’Allegato 5 alle Linee guida CE 2014/C 200/01 (v. link approfondimento) e indice di intensità elettrica ≥ 20% (determinato sul periodo di riferimento come rapporto tra la spesa per la fornitura di energia elettrica e il VAL)

c) non rientrano nei precedenti punti a) e b) ma sono ricomprese negli elenchi delle imprese a forte consumo di energia per gli anni 2013 o 2014

 

Sostanzialmente si dovranno inserire, come già effettuato nello scorso mese di maggio per la dichiarazione 2018, i dati di bilancio e di consumo dell’energia elettrica però considerando il triennio 2015-2017.

 

Prezzi dell’energia elettrica e costi emissioni CO2

Nell’ultimo anno appare sempre più forte la correlazione fra i due costi

 

Nell’ultimo anno le quotazioni dell’energia elettrica sono sensibilmente aumentate. Le cause sono molteplici e sono dovute agli elevati prezzi di carbone e petrolio, alle tensioni internazionali riguardanti Iran e Corea del Nord, all’aumento dei costi del gas naturale, ai problemi mai risolti delle centrali nucleari francesi e alla ripresa economica. C’è però un altro fattore che ha sostenuto i prezzi (spot e futures) dell’energia elettrica: i costi per la CO2.

I produttori di energia elettrica e gli impianti che si occupano di cattura, trasporto e stoccaggio di CO2 devono approvvigionarsi sul mercato delle quote necessarie per coprire il proprio fabbisogno di emissioni. Questo avviene tramite aste, meccanismo di assegnazione delle quote di emissione valide per adempiere agli obblighi dello European Union Emissions Trading Scheme (EU ETS), il principale strumento adottato dall’Unione europea, in attuazione del Protocollo di Kyoto, per ridurre le emissioni di gas a effetto serra nei settori energivori. Dal 2013 il collocamento a titolo oneroso tramite asta è il meccanismo per l’assegnazione delle quote, salvo eccezioni legate alla tutela della competitività dei settori manifatturieri sui mercati internazionali.

Il GSE è il responsabile del collocamento delle quote di emissione italiane sulla piattaforma comune europea.

Per molti anni i costi si sono mantenuti sotto i 10 € a tonnellata di CO2 e, addirittura, la crisi economica nel 2013 aveva fatto crollare i prezzi a 3 €/t. A febbraio di quest’anno è stata approvata una riforma dei meccanismi del mercato EU ETS (sistema europeo di scambio delle quote di emissione) che sarà valida fino al 2030. La riforma, che vuole disincentivare le emissioni inquinanti, stimolando quindi gli investimenti in efficienza energetica e fonti rinnovabili, abbassa il tetto alle emissioni e prevede di ritirare il surplus di permessi generati durante gli anni di crisi.

In seguito alle nuove regole, il mercato sta già scontando queste modifiche e i prezzi sono aumentati in maniera molto veloce per i seguenti motivi:

 

• previsione che l’offerta dal prossimo anno si possa ridurre;

• modifica delle strategie di acquisto che sono diventate più complesse;

• speculazioni di nuovi soggetti che sono entrati nel mercato come le banche e i fondi di investimento speculativi che stanno facendo scorta di autorizzazioni per il futuro;

• volontà della Commissione europea di raggiungere gli obiettivi europei di efficienza e fonti rinnovabili attraverso l’aumento dei costi.

 

Si riportano i seguenti grafici per comprendere visivamente quanto affermato:

 

1. GRAFICO N.1 – andamento delle quotazioni futures energia elettrica fino all’anno 2021;

2. GRAFICO N.2 – costi spot CO2 (prezzi spot dal 2013 al 2018);

3. GRAFICO N.3 – costi futures CO2 per i prossimi anni fino al 2021.

 

 

 

Come si può notare, i costi della CO2 dal 2013 sono aumentati da 5 a 25 €/t e, nell’ultimo anno, gli aumenti della CO2 hanno coinciso con l’aumento delle quotazioni futures dell’energia elettrica. Visti i valori futures della CO2, si può ritenere che difficilmente tali costi caleranno nel breve periodo.

 

In aumento i prezzi dell’energia elettrica certificata verde

Comunicare la propria scelta green costa sempre di più

 

L’argomento è già stato trattato nella scorsa newsletter, ma qui si vuole dare un aggiornamento di mercato, riguardante i costi dell’energia verde.

Innanzitutto va ricordato come per “energia verde” si intenda l’energia elettrica derivante da fonti rinnovabili la cui provenienza è garantita dalle Garanzie di Origine (GO), certificati internazionali riconosciuti a quegli impianti di produzione di energia elettrica che rispettano determinate caratteristiche di sostenibilità ambientale. Va ovviamente fatto presente che l’energia nella rete elettrica non si può dividere a seconda della provenienza e quindi l’energia elettrica è la stessa a seconda che sia certificata come “verde” o no.

L’impresa che sceglie l’energia “verde” può mostrare ai propri clienti e ai business partner l’impegno per la scelta green. Normalmente il fornitore mette a disposizione dell’impresa un kit di comunicazione, consigli e strumenti per raccontare l’impegno a favore della tutela ambientale e un certificato che attesta che l’impresa utilizza energia verde.

Questa operazione ha un costo: se fino allo scorso anno era possibile riuscire a certificare la propria energia come verde anche a 0,3 €/MWh, da quest’anno la cosa non è più possibile. I prezzi di mercato nel 2018 sono infatti aumentati oltre i 2,0 €/MWh per i seguenti motivi:

 

• aumento dei costi dei permessi per la CO2

• elevata domanda

• insufficiente produzione idroelettrica in nord Europa

 

 Si riportano, nella pagina seguente, i rispettivi grafici:

 

1. GRAFICO N.1 – andamento emissioni GO mese per mese a partire dall’anno 2013;

2. GRAFICO N.2 – costi GO (asta del 20 settembre 2018 con i titoli assegnati, nella disponibilità del GSE, relativi alla produzione da gennaio a luglio 2018).

 

Il grafico 1 mostra l’elevata domanda degli ultimi anni, mentre il grafico 2 mostra i prezzi di assegnazione (€/GO dove una GO certifica ogni MWh immesso in rete), il cui prezzo medio ponderato è pari a 1,95 €/MWh, con un valore massimo di 2,71 €/MWh per la fonte eolica da marzo a luglio.

 

 

 

Il percorso per la fine della tutela di prezzo nei settori elettrico e gas

Ulteriore proroga: dal 1° luglio 2019 al 1° luglio 2020

 

Con il decreto “Milleproroghe” è stata definita al 1° luglio 2020 la fine dei mercati attuali per l’energia elettrica (mercato di maggior tutela) e del gas metano (mercato di tutela). La data ha quindi subito l’ennesima proroga. Ricordiamo i destinatari potenziali della proroga:

 

• energia elettrica: clienti domestici e imprese con meno di 50 addetti e un fatturato annuo non superiore a 10 milioni di euro alimentate in bassa tensione;

• gas metano: clienti domestici e punti di riconsegna relativi a condomini con uso domestico, con consumo non superiore a 200.000 Smc/anno.

 

Si riporta la situazione aggiornata alla fine del 2017:

• mercato elettrico: dei 30 milioni di contratti, circa 17,3 milioni, pari al 60%, erano ancora nel mercato di maggior tutela;

• mercato del gas: dei 20 milioni di contratti, circa 12,6 milioni, pari al 63%, erano ancora nel mercato di tutela.

 

La motivazione, in estrema sintesi, quella reale, alla base di questo nuovo slittamento è la considerazione che il cliente italiano sia poco evoluto, poco consapevole delle opportunità e in grado di farsi del male nell’operare una scelta.

Riteniamo questa visione abbastanza limitata. Probabilmente basterebbero alcuni interventi per garantire ai clienti di poter contare su prezzi buoni e offerte chiare. Si riporta un elenco delle misure che potrebbero essere adottate:

 

• creazione di nuove infrastrutture e rafforzamento di alcune già esistenti (gasdotti e linee elettriche interne ed esterne all’Italia) per aumentare l’offerta e ridurre i “colli di bottiglia” sulle reti; obiettivo: concorrenza;

• imposizione di un contratto standard ai fornitori; obiettivo: confrontabilità;

• pubblicazione di riferimenti di prezzo (differenziati per periodo di fornitura) forniti da un organismo terzo come l’Autorità; obiettivo: riferimento certificato;

• obbligo, da parte dei fornitori, di evidenziare la differenza tra la propria proposta e questo riferimento; obiettivo: confrontabilità.

 

Si segnala infine come, in Francia, uno degli Stati europei più restii a far sparire i mercati tutelati, sia stato deciso di mantenere il mercato tutelato per l’energia elettrica e di far sparire quello del gas solo nel 2023. Per l’energia elettrica (ricordiamo che la Francia ne fa grande uso anche per il riscaldamento), i francesi hanno però motivato la scelta in maniera più sincera, affermando che l’elettricità è “un’energia non sostituibile che costituisce un bene di prima necessità”.

 

Il peso del decommissioning nucleare nella bolletta elettrica

Un costo che ancora oggi viene sostenuto, a trent’anni dal referendum antinucleare

 

L’8 novembre 1987, con il cosiddetto referendum sul nucleare, si decise l’abbandono da parte dell’Italia del ricorso al nucleare come forma di approvvigionamento energetico.

Conseguentemente fu pianificato il decommissioning degli impianti nucleari, vale a dire le operazioni di mantenimento in sicurezza degli impianti, allontanamento del combustibile nucleare esaurito, decontaminazione e smantellamento delle installazioni nucleari e gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi, in attesa del loro trasferimento al Deposito Nazionale.

Le strutture interessate sono le centrali nucleari ex-Enel (Trino Vercellese – Vercelli, Caorso – Piacenza, Latina, Garigliano – Caserta) e gli impianti del ciclo del combustibile ex-Enea (EUREX di Saluggia – Vercelli, FN Fabbricazioni Nucleari di Bosco Marengo – Alessandria, OPEC in Casaccia – Roma, Plutonio in Casaccia – Roma, ITREC in Trisaia Rotondella – Matera).

Il governo ha affidato il compito dello smantellamento alla Sogin e i costi sono stati inclusi nelle bollette dell’energia elettrica, con la componente A2, definita come la componente destinata alla copertura dei costi per lo smantellamento delle centrali nucleari dismesse (Latina, Caorso, Trino Vercellese, Garigliano), alla chiusura del ciclo del combustibile nucleare e alle attività connesse e conseguenti, svolte dalla società Sogin. Secondo quanto previsto dalle leggi finanziarie 2005 e 2006, una parte del gettito della componente A2, pari a circa 100 milioni l’anno, viene destinato al bilancio dello Stato.

 

 

Un’altra componente da tenere presente è legata alla remunerazione dei Comuni disposti ad ospitare rifiuti nucleari sul proprio territorio. La componente MCT finanzia infatti le misure di compensazione territoriale a favore dei siti che ospitano centrali nucleari e impianti del ciclo del combustibile nucleare e, in futuro, il deposito nazionale delle scorie.  Dal 2005, circa il 70% del gettito della componente MCT è destinato al bilancio dello Stato.

Si riporta la mappa dei principali siti di stoccaggio dei rifiuti radioattivi prodotto in Italia.

 

 

Con la riforma degli oneri di sistema, le componenti A2 e MCT sono state inglobate nella componente ARIM.

Il peso nella bolletta italiana non è elevato (a fronte di un costo medio imponibile di 150 €/MWh, si può stimare un costo di 0,6 €/MWh corrispondente alla componente A2 e un costo di 0,2 €/MWh corrispondente alla componente MCT), ma è un costo che pagheremo ancora per molti anni, pur non usufruendo di alcuna produzione di energia elettrica da fonte nucleare.

Le fasi di decommissioning, in Italia, dovrebbero terminare nel 2036, anche se non vi è certezza. Nel 2008, infatti, la data prevista era il 2019, nel 2010 era il 2024 e nel 2013 era il 2025. L’unica certezza è che i costi sono lievitati ogni anno.